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2017-10-04

Vitamina D, un "tesoro" prezioso per le ossa e per le prestazioni dei runner

Secondo recenti scoperte, la vitamina D oltre a prevenire le fratture e a regolare un gran numero di disturbi clinici sarebbe in grado anche di migliorare la composizione corporea con beneficio sulle performance sportive in generale. Ecco un utile vademecum per il podista

ROMA - Uno degli infortuni ricorrenti nel running su lunghe distanze è la frattura da stress, che solitamente colpisce il metatarso e il bacino, ma non risparmia anche altre parti degli arti inferiori. E a proposito di fratture va approfondito lo stretto rapporto causa/effetto che hanno con la carenza di vitamina D e calcio.
La vitamina D in passato era conosciuta esclusivamente per il suo ruolo essenziale nella salute delle ossa e nella regolazione del calcio, anche attraverso l'ormone paratiroideo (PTH): in seguito alla scoperta della sua azione preventiva sul rachitismo (un tipo di malformazione ossea), negli anni Quaranta il ministero della Salute britannico aveva deciso di raccomandare l'integrazione degli alimenti quotidiani con vitamina D e, dunque, di offrire gratuitamente nelle scuole ad ogni bambino il latte e un "delizioso" cucchiaino di olio di fegato di merluzzo, con l'obiettivo di debellare la malattia.

Secondo recenti scoperte, la vitamina D sarebbe in grado anche di regolare oltre 1.000 geni reattivi alla sua azione, implicati in un gran numero di disturbi clinici, e favorire un miglioramento della composizione corporea con beneficio sulle prestazioni sportive in generale.

Questa rara e preziosa vitamina si ottiene prevalentemente (tra il 50% e il 90%) esponendo la pelle ai raggi ultravioletti del sole (UVB) che provocano la conversione del 7-deidrocolesterolo in colecalciferolo (vitamina D3). Il resto del fabbisogno viene coperto con l'alimentazione, sotto forma di ergocalciferolo (vitamina D2). Le cose, però, non sono così semplici e serve una ulteriore spiegazione (mi scuserete per i termini un pò tecnici): di fatto, queste due forme di vitamina D sono composti inerti e, quindi, per sprigionare tutti i benefici a livello dei recettori cellulari devono essere convertiti da fegato e reni nella loro forma primaria, il calcidiolo. Una volta entrato in circolazione, grazie al recettore della vitamina D il calcidiolo può essere infine convertito in calcitriolo, ossia la "forma attiva" della vitamina D, e iniziare così a compiere le sue magie.

L'attività fisica, in particolare di forza e d'impatto (per esempio la corsa, ma anche la lotta, il judo, il pugilato), aumenta naturalmente la densità minerale ossea attraverso le sollecitazioni esercitate sullo scheletro. Si tratta, tuttavia, di un'arma a doppio taglio: basti pensare alle perdite di calcio attraverso il sudore durante le estenuanti sessioni di allenamento. Solo con la traspirazione, in un'ora di allenamento intenso di corsa un uomo medio di 70 kg può perdere tanto calcio quanto ne contiene un bicchiere di latte (circa 100 mg).
Secondo i risultati degli studi una carenza di calcio, se abbinata a bassi livelli di vitamina D, induce l'insorgenza di un deficit di densità minerale ossea che, anche se marginale, può accrescere il rischio di fratture da stress.

In Gran Bretagna, la dose giornaliera di vitamina D adatta agli adulti è stata fissata a 600 UI (Unita Internazionale) al giorno, dose che "presumibilmente" dovrebbe innalzare i livelli di calcidiolo entro il range di riferimento di 20-30 ng/ml con un'esposizione solare giornaliera "normale". Tuttavia, buona parte delle evidenze cliniche in materia dice tutt'altro: un recente studio di Heaney e colleghi è stato condotto nel 2003 su 67 soggetti con carenza clinica di vitamina D; i soggetti sono stati suddivisi in 4 gruppi e per cinque mesi la loro dieta è stata integrata rispettivamente con 200, 1.000, 5.000 e 10.000 UI di vitamina D3. I ricercatori hanno evidenziato che il gruppo trattato con la dose più bassa non è riuscito a rientrare nel range di riferimento della vitamina D nemmeno dopo cinque mesi. La carenza di vitamina D è stata riscontrata anche in atleti residenti sotto il sole cocente del Qatar. All'insaputa degli sportivi mediorientali, in base alla stretta relazione tra la vitamina D e lo stato del calcio osseo gli autori hanno concluso che questo gruppo di atleti considerati altrimenti "sani" presentava una riduzione della densità minerale ossea fino al 60%.

Analogamente, altri studi hanno rilevato che sotto il "sole" del Regno Unito la carenza di vitamina D tra gli adulti può raggiungere persino il 47%.
Un aspetto che contribuisce a questa carenza è il fatto che la formazione di colecalciferolo si arresta dopo soli 30 minuti al sole, mentre la produzione di melanina nelle cellule cutanee aumenta, fornendo al corpo la tipica abbronzatura. Questo è un meccanismo di sicurezza che impedisce un'eccessiva esposizione ai raggi UV, che causerebbe un'intossicazione da vitamina D e danni al DNA della pelle; così facendo, riduce le probabilità di insorgenza di melanoma (cancro della pelle) ed è anche il motivo per cui non può verificarsi una ipervitaminosi D dovuta all'esposizione al sole.

Questo adattamento evolutivo poteva avere un senso 1,8 milioni di anni or sono, quando l'uomo primitivo non faceva altro che vagare per le praterie, consumando una dieta ricca di vitamina D ed esponendo l'intero corpo al sole tutti i giorni. Se guardiamo invece al moderno "cavernicolo" degli uffici, lavoratore serale, vittima di turni di lavoro che trascorre dietro finestre trattate con filtri UV-B, solerte nell'uso di creme solari protettive e poco attento all'assunzione di vitamina D nella dieta, è facile capire come i valori possano precipitare con rapidità.

Ma quali sono i sintomi di carenza?
A parte i rarissimi casi di vera osteomalacia, un disturbo associato all'indebolimento e alla malformazione delle ossa negli adulti in seguito a carenza cronica di vitamina D, i sintomi indicativi di scarsa presenza di questa vitamina sono, nel migliore dei casi, facilmente confondibili e poco evidenti. Ecco perché tante persone sono carenti senza saperlo.
Ecco di seguito alcuni segnali indicativi di deficit di vitamina D in soggetti attivi, ma soprattutto in chi pratica sport ad alto livello.
• Riduzione della forza muscolare; aumento della fatica; mancata risposta ad un allenamento mirato a sviluppare la forza
• Malinconia; minore intensità di allenamento; possibile depressione
• Debolezza ossea generalizzata; dolori; maggiore incidenza di fratture da stress
• Aumento delle infezioni del tratto respiratorio superiore, poiché questa vitamina riveste anche un ruolo chiave nel sostenere il nostro sistema immunitario.
• Aggravamento di disturbi infiammatori e infezioni intestinali


Non sorprende il continuo aumento di prove che attestano il legame diretto tra vitamina D e ottimizzazione della massa muscolare. All'inizio del XX secolo, si diceva che in alcune nazioni gli atleti ricorressero alle radiazioni UVB per migliorare le prestazioni rispetto agli avversari. Più specificamente, negli ultimi anni è stata individuata una relazione tra insufficienza di vitamina D, atrofia delle fibre muscolari scheletriche di tipo II e aumento della deposizione di grasso intramuscolare. È dimostrato che la somministrazione di vitamina D capovolge gli effetti dell'atrofia muscolare negli anziani e aumenta la forza (quindi quegli atleti di un secolo fa ci avevano visto giusto). Purtroppo, gli studi attualmente disponibili sulle popolazioni di atleti sono molto scarsi, quindi occorre attendere ulteriori approfondimenti prima di poterci sbilanciare su questa proprietà della vitamina D.

La vitamina D non smette di sorprenderci, è stato infatti dimostrato come abbia la capacità di migliorare i marcatori della "sindrome metabolica", un disturbo pro-infiammatorio basato sulla resistenza insulinica e sull'eccesso di grasso viscerale, che può facilmente degenerare in diabete di tipo II.
Recentemente è stato anche dimostrato che il calcitriolo, con un adeguato apporto di calcio, può attenuare l'espressione delle citochine pro-infiammatorie, ridurre direttamente la stimolazione delle cellule pancreatiche, normalizzare i valori di calcio intracellulare che modulano la sensibilità all'insulina e persino attivare le vie di ossidazione degli acidi grassi.

Come facciamo ad assumerne a sufficienza? 
1. Esposizione al sole 
Non è il caso di sottoporsi ad esposizioni solari prolungate in ore centrali della giornata. Il tumore della pelle è un rischio da non sottovalutare. Sebbene esistano anche studi contrari che sostengono che l'esposizione al sole e la sintesi della vitamina D possono persino proteggere da certi tipi di cancro, l'incidenza in aumento, specialmente tra gli uomini, ha indotto il National Institute of Clinical Excellence a fornire nel 2011 la raccomandazione a coprirsi e restare all'ombra tra le 11:00 e le 15:00; applicare una crema solare contro i raggi UVA e UVB ogni due ore, sulle zone più esposte; riapplicare la crema se si pratica attività in acqua (ad esempio nuoto all'aperto).
2. Apporto alimentare
Ecco gli alimenti comuni contenenti vitamina D, con le relative dosi:
Olio di fegato di merluzzo (1 cucchiaio) 800 UI; salmone fresco (85 g) 288 UI; tonno in scatola (85 g) 76 UI; uova (1 uovo medio intero) 14 UI; cereali per colazione fortificati (27 g) 22 UI   
Come si può notare, la natura liposolubile della vitamina D fa sì che la si trovi in alimenti generalmente considerati "grassi", e in altri come il tonno e il salmone che presentano altre problematiche (presenza di metalli pesanti). L'olio di fegato di merluzzo è la fonte di vitamina D per eccellenza: attenzione se pensate di inserirlo in una dieta che state già integrando con multivitaminici (in particolar modo se in gravidanza). Valutate sempre con il vostro medico curante l'assunzione di qualsiasi integratore alimentare.
3. Integratori
Nel caso in cui i cibi precedenti vengano consumati raramente, è possibile ricorrere agli integratori (ma solo dopo aver accertato una reale carenza). All'inizio dell'articolo abbiamo sottolineato che la principale forma nella quale la vitamina D si presenta nei cibi è l'ergocalciferolo (vitamina D2): secondo gli studi, questa forma non aumenta il calcidiolo con la stessa efficienza del colecalciferolo (vitamina D3), dunque dovreste aumentare il dosaggio (o assumerne dalla dieta un quantitativo molto elevato) per ottenere lo stesso effetto. È stato infatti dimostrato che 1.000-2.000 UI di vitamina D3 sono una dose sicura ed efficace da assumere tutto l'anno.

Conclusioni
Per essere un'unica vitamina, la "D" è un micronutriente davvero straordinario che apporta enormi benefici alla salute e, sembrerebbe, anche alle prestazioni sportive oltre che a numerose funzioni sistemiche del corpo umano positive per lo stato di salute.
La maggior parte degli individui, soprattutto atleti di alto livello e in particolar modo di etnia africana o afro-americana, presentano probabilmente una carenza più o meno marcata di vitamina D e laddove c'è una carenza, come in tutti gli aspetti della nutrizione, c'è il rischio di non ottenere i benefici di "crescita" muscolare, recupero e performance.

Qualche consiglio di base
• Per tutto l'anno, se possibile, proteggetevi quando vi esponete al sole, ma cercate di beneficiare della luce naturale per almeno 15-30 minuti al giorno
• Aumentate l'assunzione di cibi ricchi di vitamina D
• Prendete in considerazione un'integrazione con vitamina D3 per sopperire a ciò che il sole e il cibo non riescono a darvi, ovviamente solo dopo una valutazione da parte del medico.

*Dottore in dietistica

 

Fonte: La Repubblica https://www.repubblica.it/sport/running/salute-e-alimentazione/2017/10/04/news/vitamina_d-177380351/